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    IPPOLITO NIEVO
    e la spedizione dei mille

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    Lezione spettacolo 2011
    progetto di Andrea Pennacchi

    «L’attività privata d’un uomo che non fu né tanto avara da trincerarsi
    in se stessa contro le miserie comuni, né tanto stoica da opporsi
    deliberatamente ad esse, né tanto sapiente o superba da trascurarle
    disprezzandole, mi pare debba in alcun modo riflettere l’attività
    comune e nazionale che la assorbe; come il cader d’una goccia
    rappresenta la direzione della pioggia».
    Ippolito Nievole Confessioni d’un Italiano
     

    Della storia del Risorgimento studiata a scuola non serbo grandi ricordi: qualche cartina di battaglie arcaiche, piena di frecce colorate, qualche
    immagine di statista che mi fissa austero e impettito, Garibaldi, bello e un po’ malinconico, nella sua tenuta da eroe. Non riusciva a fare presa su di me, quel periodo così confuso, in cui anziani signori in redingote e favoriti ricucivano i brandelli di un’Italia talmente divisa politicamente da sembrare, sulla carta geografica appesa al muro della classe, un puzzle particolarmente complicato. Poi arrivano i 150 anni dell’Unità d’Italia, mi capita fra le mani il diario della spedizione in Sicilia di Ippolito Nievo – scrittore e veneto, uno degli 88 “emigrati” veneti salpati il 5 maggio 1860 coi Mille da Quarto, a bordo del “Lombardo” al comando di Nino Bixio – e mi cambia la percezione della storia.
    La scrittura di Nievo racconta in prima persona, in uno stile scarno e non retorico, l’avventura di un gruppo di giovani romantici (la maggior parte dei quali “nordici”) votati a riunire un’Italia e a trasformare quella che un principe tedesco aveva definito con disprezzo «un’espressione geografica». 
    La storia dei Mille, diventa un simbolo (anche se assai concreto) della necessità di unire “pensiero e azione”: un pugno di giovani, guidati
    da Garibaldi, un eroe in carne e ossa, in un’impresa – letteralmente – impossibile, che unisce audacia politica, impreparazione militare, buona sorte e disorientamento personale, che sembra riuscire solo in virtù di un miracolo.
    Che storia meravigliosa da narrare.
    La grande impresa di un piccolo gruppo di giovani teste calde, certo, ma che ci ricorda che «sono le minoranze di entusiasti a fare la storia, per poi imporla ai pigri e agli scettici come epica collettiva» (Massimo Gramellini, vice direttore de La Stampa e blogger).

    Vogliamo portare nelle scuole questo racconto, aiutati dalle voci di molti garibaldini, che con uno stile nuovo, realistico, forgiato dalle straordinarie esperienze vissute, ci danno un resoconto chiaro di quegli eventi straordinari; e su questo coro, svetta la voce del padovano Ippolito Nievo, letterato e ribelle, che, nella descrizione di Giuseppe Cesare Abba, si aggirava tra i Mille come un «Orfeo tra gli Argonauti».
    Andrea Pennacchi

     
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